Negli ultimi giorni, Pasqua compresa, si sono moltiplicati gli interventi – sia governativi che di maggioranza – sull’Università. Visto il periodo, si poteva sperare che portassero notizie della volontà di farla “risorgere”, dopo anni di colpi durissimi che ne hanno minato la funzione di motore dell’innovazione, della ricerca e dell’alta formazione, che ora sarebbe fondamentale per tutto il Paese, ma purtroppo non sembra così.

Il ministro Giannini, ad esempio, ha detto a Repubblica TV che “Toglieremo l’università dal regime contrattuale della funzione pubblica” (articolo di Corrado Zunino, 2 aprile), mentre la Senatrice Puglisi, referente del PD per tali questioni, dichiara allo stesso quotidiano (articolo del 4 aprile, a firma di Salvo Intravaia) che occorrerebbe “sottrarre l’università dai vincoli della pubblica amministrazione”. Affermazioni che hanno tutta l’aria di proseguire la privatizzazione strisciante degli atenei, avviata nel 2008 dal governo Berlusconi, con la legge 133 (uno dei primi provvedimenti presi da quell’esecutivo) provocando le proteste dell’ “Onda”. La stessa Senatrice Puglisi fa poi menzione di un contratto a “tutele crescenti”, ovvero la stessa cosa prevista dal dal Jobs Act nel settore privato che, sebbene sia nato – forse – con le migliori intenzioni, si traduce sostanzialmente in licenziamenti piu` facili da parte del datore di lavoro (come è noto e per ammissione dello stesso Governo). Quindi, due uscite coordinate e nella stessa direzione.

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Sorprende quindi leggere che questi provvedimenti sarebbero priorità che sono state individuate nella giornata di ascolto del 28 marzo organizzata dal PD. Giornata di “ascolto” significa riunire una rappresentanza delle persone che nell’università ci lavorano e sentire cosa hanno da dire, non affermare ex post che ciò che l’organizzatore vuole proporre sia stato condiviso da tutti quelli che ascoltavano. 

La Rete29Aprile, peraltro, a quella giornata c’era, con una decina di interventi: e possiamo dire che a parte la relazione iniziale (sottolineiamo iniziale) di Puglisi stessa, che aveva già esplicitato l’intenzione di “sottrarre gli atenei dal profilo del diritto amministrativo e dai vincoli che annodano la pubblica amministrazione”, non pare affatto che questi due temi siano emersi come priorità dalle molte relazioni dei tanti soggetti intervenuti. In comune, nella stragrande maggioranza degli interventi, c’erano invece concetti che purtroppo nelle successive uscite sulla stampa degli esponenti del governo e del PD sono scomparsi totalmente e che, per amor di verità, vogliamo ricordare: la necessità non più rinviabile di finanziare in modo deciso la ricerca di base, l’ingresso in ruolo “vero” (per essere chiari: a tempo indeterminato) di un grande numero di attuali precari (almeno 10.000 in un quinquennio), contestualmente alla pianificazione stabile e continua del reclutamentoil finanziamento del diritto allo studiol’investimento in dotazioni, come strumentazionilaboratoribiblioteche e servizi per la ricerca e per gli studenti; e, ancora, la necessità di rivedere le modalità pasticciate e costosissime con le quali l’ANVUR è stata costruita: più che un sistema di valutazione affidabile, un ministero parallelo, con tanto di moltiplicazione inutile e dannosa di continue e sempre nuove imposizioni burocratiche. 

La Rete29Aprile ed altre organizzazioni hanno poi proposto il ruolo unico della docenza per far sì che vecchie ed ingiustificate posizioni dominanti, basate su un forte potere di ricatto dovuto al monopolio delle decisioni, siano rimpiazzate da una “comunità di pari” (come del resto è la comunità della ricerca) in grado di recuperare quell’etica condivisa indispensabile per una Università moderna e collaborativa. Ruolo Unico che disinnescherebbe anche l’enorme bagarre “tutti contro tutti” che, complici i continui tagli, è prevedibile che si verifichi al momento delle prime progressioni, aggravando tensioni già al limite (se ne è parlato QUI eQUI).

Invece le parole chiave che maggioranza e governo usano sono “sottrazione della Università alla pubblica amministrazione” (una volta riusciti, lo si farà anche con la Magistratura e con le Forze Armate?), magari affidandola allo strapotere di uomini soli al comando (sindaci/presidi/rettori?), e “Jobs Act per l’Università”. E poi, a chi si applicherebbe questo “Jobs Act”? Per come funzionano gli atenei, a tutti i nuovi assunti ma anche a ogni prospettiva di progressione, perché, tecnicamente, il passaggio da “Ricercatore” a Professore Associato” (o da Associato a Ordinario) si configura come l’ingresso in un nuovo ruolo. Dunque il Jobs Act universitario varrebbe per tutti, tranne che per gli attuali Ordinari, cioè gli stessi che detengono al momento tutte le leve di comando negli Atenei. Et voilà: tutti precari di fronte al re = nessun precario nel reame?

Essendo, pare, all’inizio di un percorso, speriamo che nell’immediato futuro sia possibile avere confronti veri, non “giornate di ascolto” che diventano inutili parate, kermesse melliflue con l’unico obiettivo di impostare una giustificazione politica per dire poi ciò che si voleva affermare fin dall’inizio. Poiché in passato ci siamo già confrontati con governi che dichiaravano di volere delle riforme “per i giovani” e “contro i baroni”, mentre facevano l’esatto opposto, facciamo notare che non abbiamo problemi a contrapporci in modo netto e radicale, come abbiamo già fatto, a quelle posizioni che tendono a considerare la precarietà come norma e puntano allo smantellamento della gran parte del sistema universitario statale in favore della privatizzazione degli atenei. Riterremmo davvero un insulto intollerabile trasmettere all’opinione pubblica, ancora una volta, slogan dal contenuto ragionevole per andare, contemporaneamente, in una direzione esattamente contraria.

La Rete29Aprile è in campo, assieme agli studenti e ai precari, con proposte efficaci per minimizzare gli aspetti nefasti della “grande riforma” imposta dal centrodestra di Berlusconi, Tremonti e Gelmini e dare spazio a ricerca e alta formazione come opportunità per una società complessa e avanzata come quella italiana. Ricerca e alta formazione che nel 2010 Gelmini depresse con la sua legge mentre tutti gli aspetti negativi e le criticità di quella riforma, che avevamo evidenziato, si sono poi puntualmente verificati. Oggi neppure il più ottuso e conservatore docente difenderebbe quella legge balorda. Adesso, quindi, la misura è colma: è inammissibile che anche il PD, che si oppose con molte ambiguità e indecisioni alla riforma del centrodestra, si presenti oggi con idee e mezze proposte che puntano nella direzione, chiara, di ulteriore ridimensionamento del sistema universitario pubblico, senza peraltro dire una parola su risorse e finanziamenti, che mancano in maniera drammatica. 

Se si vogliono “svolte”, il dibattito deve essere vero e il confronto pubblico e serio con tutte le componenti, a partire da quelle studentesche e precarie. Già da tempo viaggiamo sul ciglio del burrone, e con le “svolte” non si può scherzare né improvvisare.