Da mesi ormai la situazione di marasma normativo innescato dalla sformata riforma universitaria voluta dal duo Gelmini e Tremonti fa sentire i suoi effetti.
L’ultimo, solo in ordine di tempo, è la condanna dell’Università di Pavia da parte del Tar della Lombardia. L’Università in questione dovrà rifondere gli studenti di quanto versato in eccedenza alla quota complessiva della contribuzione studentesca, che non può superare, secondo la legge, il 20% delle entrate complessive dell’Università. La morale della storia è che aumentare la pressione delle tasse di iscrizione sugli studenti per far fronte ai tagli di bilancio imposti da Tremonti e Gelmini nel corso del 2010, è una cosa illegittima.
L’Università di Pavia, la prima a cadere sotto la scure della giustizia amministrativa, è capofila di una lunga serie di università che non rispettano il limite del 20% che la legge impone come tetto alla contribuzione studentesca alle spese complessive di un ateneo. Si tratta di una norma che tutte le università, chi più chi meno, violano o tendono a violare, soprattutto in un periodo in cui diminuisce significativamente il contributo statale agli atenei.
La logica conseguenza sarebbe di cercare modi alternativi per finanziare la ricerca e il funzionamento dell’Università pubblica: ad esempio tassando ulteriormente i capitali rientrati e trattati coi guanti di velluto dal governo Berlusconi: solo un misero 5% di tassazione che potrebbe essere aumentata. In aggiunta si potrebbe calcolare la contribuzione universitaria parametrando le tasse al patrimonio della famiglia dello studente, riportando nel contempo la contribuzione statale a livelli che permettano agli atenei di funzionare senza scaricare i costi sulla popolazione studentesca.
Da alcune parti però si afferma che i soldi che gli studenti versano agli atenei ritornerebbero sotto forma di contributo al diritto allo studio, dimenticando così che il grosso del diritto allo studio è gestito dalle regioni e non dagli atenei e neppure dallo stato. Regioni che pure loro sono in rosso a causa… dei tagli governativi.
Come la si giri si ricasca sempre in una tendenza del governo centrale a scaricare sugli studenti e le loro famiglie il peso dell’istruzione.
Ecco allora che si potrebbero far strada le illogiche conseguenze: diminuiscono i finanziamenti statali? Aumentiamo le tasse, anzi, liberalizziamo l’importo: chi può pagare 10.000 euro all’anno lo fa, chi non può se li fa prestare dallo stato sotto forma di prestiti d’onore, come recitava l’Interrogazione Parlamentare proposta dal Sen. Pietro Ichino il 18 maggio 2011. Un sistema che in altri Paesi ha già mostrato la sua dannosità anzitutto per gli studenti, riducendo drasticamente il numero delle immatricolazioni universitarie e generando un fenomeno immorale come quello dell’indebitamento pre-lavorativo in Giappone, in Inghilterra e negli Stati Uniti. Anni dopo anche da noi, dominati da un invincibile provincialismo scimmiottante, questa proposta viene assecondata proprio nelle fila della (ex) opposizione. Assecondiamo proposte che altrove sono messe in discussione.
E se non basta aumentare le tasse, facciamo anche fare didattica gratuita, imponendola illegittimamente ai ricercatori di ruolo – che non la dovrebbero fare e se la fanno è perché lo vogliono – e facendola fare anche a un esercito di precari che, secondo i rettori, non aspetta altro.
Scenari improbabili? Eppure in queste direzioni va la comunicazione del 6 luglio rivolta dalla Crui all’allora ministro Gelmini, contenente una serie di «ricette» per far fronte ai tagli decisi scaricandoli sugli studenti e sui ricercatori strutturati e precari, nella prospettiva del 2012, quando con una spesa per il personale pari a 6,8 miliardi complessivi gli atenei vedranno arrivare dallo Stato solo 6,6 miliardi.
Storture, si dirà. È vero, ma tra osservare una stortura e rendere un sistema legalmente storto, ce ne corre.
La Rete 29 Aprile ribadisce la sua contrarietà a ogni soluzione che metta in discussione il diritto allo studio universitario quale diritto e quale bene comune accessibile e fruibile da tutti, senza distinzioni e senza trucchetti contabili. Siamo già la maglia nera nel mondo industrializzato per quanto riguarda i finanziamenti a scuola e università, cerchiamo almeno di non arrivare ultimi dove altri hanno già fallito.
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