Leggi qui il comunicato il pdf
La proroga, questa presenza irrinunciabile nella storia del diritto amministrativo italiano. Una certezza, soprattutto quando si parla di università e di rettori, decisi a resistere contro ogni assalto, anche quello del tempo che passa. L’ultima notizia, proveniente da Milano è emblematica.
La legge Gelmini, tra le sue tante disposizioni, prevede due cose: abolisce l’articolo 14 della legge 311 del 1958, che permetteva ai professori-rettori di terminare il mandato qualora il pensionamento fosse giunto durante il periodo in cui erano rettori; nello stesso tempo però la legge Gelmini proroga i rettori in carica al momento dell’entrata in vigore della legge (dicembre 2010) fino al termine dell’anno accademico successivo a quello di adozione dei nuovi statuti. La maggior parte degli statuti sono stati approvati all’inizio dell’anno accademico 2011-2012, quindi i rettori in servizio ‘scivolano’ fino a ottobre 2013 (termine dell’anno accademico 2012-2013). Un regalino niente male, anche se adesso i rettori, buoni ultimi, si accorgono che non hanno più una lira, neppure per il funzionamento ordinario delle strutture che dirigono, e piangono le proverbiali lacrime di coccodrillo.
Ma, un momento: se un rettore va in pensione come professore prima della scadenza dell’ottobre 2013, cosa succede? Su questo la legge tace, ma il fatto che abolisca la norma del 1958 fa logicamente pensare che chi va in pensione come professore mentre fa il rettore, dopo l’adozione della Gelmini debba mettersi quietamente le pantofole. Ma mai fidarsi della logica, soprattutto se è quella di una legge che, come la coperta di Linus, può essere stiracchiata come meglio si preferisce.
E la stiracchiatura arriva quando si presenta il caso del prof. Enrico Decleva, dal 2001 rettore della Statale di Milano e convinto sostenitore della legge Gelmini, anche quale presidente della Crui dal 2008 al 2011.
Il prof. Decleva è andato in pensione il 1° novembre 2011 e, mentre gli facciamo gli auguri di una felice conclusione di carriera, rileviamo che, secondo la legge, non avrebbe più i requisiti per essere rettore; invece no: un parere del ministero lo autorizza a stare ancora alla guida del suo ateneo, in barba alla lettera della legge.
Le perplessità sono d’obbligo: del resto, se il rettore è capo della comunità accademica, come potrebbe essere rettore uno che della comunità accademica non fa più parte perché in pensione? E, soprattutto, come fa a restare rettore sulla base di un parere (o indicazione che sia) ministeriale?
In un paese serio questa questione sarebbe almeno oggetto di una piccola inchiesta a livello parlamentare, per cercare di capire in forza di quale norma il Ministero pensa di poter ‘interpretare’ una legge che, se in alcuni punti è poco chiara, su questo punto non lascia adito a molti dubbi.
Ma forse il punto è un altro: quanti altri rettori si troveranno da qui al 2013 nelle stesse condizioni del prof. Decleva? E in quale misura il trattamento fatto a lui diventerà un precedente da applicare negli altri casi? Sono così immature le comunità accademiche da non potere sopportare l’elezione di un nuovo rettore mentre organizzano la prima applicazione dei nuovi statuti?
Dal momento che amiamo la comunità universitaria e la rispettiamo, pensiamo che non dovrebbe essere commissariata da un Ministero che taglia qualsiasi spazio di autonomia e impone la figura del rettore con un parere. Non è un bel comportamento e, soprattutto, è illegale perché contrario alla legge. Quella stessa legge brandita dal governo come elemento di grande modernizzazione e rinnovamento.
È questo il rinnovamento? Mantenere le persone al loro posto in barba alle regole (forse perché hanno sostenuto il progetto del governo)? In queste condizioni invitiamo tutti i colleghi a segnalarci prontamente gli altri casi di rettori inossidabili di cui sono o verranno a conoscenza. Siamo convinti che solo mantenendo un atteggiamento vigile si possa contrastare quella tendenza ben rappresentata dalle mai dimenticate parole del prof. Bencardino, rettore dell’Università del Sannio; egli, rivolgendosi direttamente alla Gelmini, seduta accanto a lui, disse: “Abbiamo collaborato per portare avanti la riforma, anche cercando di contenere le pressioni che venivano dal basso, dagli studenti, dai colleghi ricercatori. Ci siamo riusciti, adesso il governo si deve impegnare nell’aiutarci”.
Di fronte a tale grido di dolore, come negare una permanenza in servizio?
R29A