ASSEMBLEA DEI RICERCATORI DELL’UNIVERSITA’ DELLA BASILICATA
I ricercatori dell’Università della Basilicata si sono riuniti in assemblea il giorno 16 Giugno 2010 per discutere dell’attacco al sistema pubblico della formazione universitaria realizzato dal combinato disposto dei reiterati tagli ai finanziamenti operati dal Governo e dal modello di funzionamento e gestione prefigurato dal DDL Gelmini.
I tagli per oltre 1 miliardo operati dal ministro Tremonti porteranno già dal prossimo anno molte università verso il dissesto finanziario e/o a una forte contrazione dell’ offerta formativa e si uniscono, già ora, a una sostanziale riduzione degli stipendi (operata con la manovra finanziaria), al reiterato blocco delle assunzioni, e a un discutibile modello di gestione prefigurato all’interno del DDL Gelmini.
Si tratta di provvedimenti che all’interno di un generalizzato attacco al sistema universitario statale rischiano di tradursi in un assalto senza precedenti al diritto allo studio costituzionalmente garantito.
Per far fronte a tali provvedimenti (semplicemente per poter continuare a pagare gli stipendi) gli Atenei italiani potrebbero, ad esempio, essere costretti ad aumentare le tasse (fino al doppio) e a ridurre il dispiegamento della loro offerta formativa sui territori. I cosiddetti “requisiti minimi” introdotti dal DDL Gelmini che, giustamente, vincolano il mantenimento di corsi di laurea ad un numero minimo di docenti di ruolo ad essi dedicati (12 per le lauree triennali, 20 per quelle magistrali) accoppiati ai tagli di bilancio ed ai vincoli posti alle nuove assunzioni (ad esempio il limite al 20% del turn-over), si tradurranno nella necessità per molte università di ridurre drasticamente la propria offerta formativa.
Nel caso dell’Università della Basilicata, salvo specifici emendamenti al DDL Gelmini in tal senso, nemmeno l’annunciato (e solo in parte erogato) finanziamento regionale potrebbe bastare a garantire il mantenimento dei corsi (addirittura delle Facoltà) attivati negli anni scorsi a “costo zero” (cioè grazie ad uno sforzo straordinario e gratuito del personale docente e non docente dell’Ateneo).
I ricercatori dell’Università di Basilicata, riconoscendo che l’effetto negativo di tali iniziative governative sarebbe maggiore e devastante per Università in crescita come la nostra, hanno da subito aderito alla mobilitazione nazionale del maggio scorso annunciando in massa (più dell’80% nelle Facoltà di Agraria, Ingegneria, Scienze, Lettere) la volontà di non rendersi più disponibili ad assumere, già dal prossimo Anno Accademico, incarichi didattici non richiesti dalla loro qualifica.
E’ bene ricordare come nel passato i ricercatori dell’Università della Basilicata abbiano non solo assunto impegni didattici non retribuiti e non dovuti (spesso anche in misura superiore a quanto istituzionalmente richiesto a professori ordinari e associati), ma che tale assunzione di impegno e responsabilità abbia coinciso con una pesante contrazione del tempo disponibile per l’attività di ricerca, che risulta l’unica sulla quale essi vengono valutati, e dalla quale dipendono non solo le loro prospettive di carriera, ma anche il mantenimento dei loro livelli salariali.
E’ bene altresì ricordare che solo grazie a questa disponibilità l’Università della Basilicata ha potuto (nell’arco degli ultimi 15 anni) moltiplicare la sua offerta formativa, aprire la sua sede a Matera, raddoppiare il numero delle sue Facoltà triplicare il numero dei suoi iscritti senza sostanziali aumenti delle sue unità di personale docente e non docente mantenendo comunque alta la sua posizione nelle graduatorie degli Atenei Italiani per qualità della didattica e della ricerca.
Tali risultati, resi possibili solo dall’assunzione di carichi di lavoro eccessivi o impropri da parte di tutto il personale dell’Ateneo, spesso in assenza di qualunque concreta aspettativa di carriera (un solo dirigente oltre al Direttore Generale per quasi 650 unità di personale, blocco sostanziale delle carriere di docenti e non docenti da oltre dieci anni) rischiano oggi di essere non più garantiti per il futuro e gli sforzi fatti fin qui completamente vanificati dai tagli drastici e trasversali operati dal Governo senza riferimento alcuno ad elementi di contesto territoriale e ancor meno di qualità della didattica e della ricerca di ciascun Ateneo.
Per difendere il diritto allo studio (che si declina anche con una offerta didattica che sia ampia e di qualità sull’intero territorio italiano), per difendere la qualità della didattica stessa (che si realizza solo garantendo tempo e risorse adeguate alla ricerca), per difendere la possibilità che l’Università di Basilicata continui a crescere nella qualità, i ricercatori dell’UNIBAS, aderendo alla mobilitazione in atto negli altri Atenei Italiani chiedono:
- al Governo nazionale
- di recedere dalla sua politica di tagli e di accogliere la proposta della CRUI di un reclutamento straordinario di docenti e ricercatori
- di istituire finalmente il ruolo unico della docenza universitaria
- di riconsiderare il modello di gestione dell’Università prefigurato dal DDL Gelmini.
- al Governo Regionale
- di dare tempestivamente seguito agli impegni già assunti giacché la disponibilità di maggiori fondi (purché erogati per tempo) potrebbe consentire di affrontare meglio questo difficile passaggio
- di affrontare il tema dell’Università di Basilicata non solo in termini di finanziamenti diretti ma anche (insieme con Province e Comuni) in termini di sistema (di accoglienza, di trasporti, di qualità della vita).
- ai parlamentari lucani di operare in maniera informata e responsabile nell’interesse degli studenti lucani
- al Rettore e ai Presidi dell’Ateneo Lucano
- di farsi promotori di tali richieste nei confronti del Governo e del Ministro Gelmini,
- di non considerare più come un atto dovuto e automatico la disponibilità dei ricercatori a sopperire a loro spese alle deficienze imposte all’Università di Basilicata dai provvedimenti legislativi e governativi
- di aprire un tavolo di confronto interno con l’obiettivo di definire un programma di emergenza, condiviso e non calato dall’alto, in grado di fronteggiare questa situazione e garantire prospettive dignitose e di qualità per chi insegna, lavora e studia nell’ateneo lucano e per continuare a offrire alla comunità regionale uno strumento insostituibile di sviluppo e di emancipazione culturale e sociale.