Sembra un’ossessione. Zombie che ritornano anche dopo essere stati soppressi in un lontano passato. Anche la ministra Messa non ha potuto evitare di cimentarsi con 5 campioni nazionali, proprio lo stesso numero di “hub della ricerca” auspicato da Matteo Renzi quasi un decennio fa quando discettava di politiche universitarie senza capirne, ovviamente, alcunché.

La differenza (e non è poco) è che la ministra i campioni li ha fatti realmente, con soldi reali (1.6 mld di euri, courtesy of PNNR). Non sono atenei privilegiati ma reti di centri di ricerca pubblici e privati dedicati ad aree considerate strategiche: 1) Simulazioni, calcolo e analisi dei dati ad alte prestazioni; 2) Agritech; 3) Sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a RNA; 4) Mobilità sostenibile; 5) Biodiversità.

Le similitudini etiche e filosofiche sono altrettanto rilevanti, come evidenziato dall’annuncio che i ”sistemi pubblico e privato sono insieme per creare eccellenze”. Sembra che ogni responsabile della politica accademica non pensi ad altro che al top, all’eccellenza, al “cutting edge” della conoscenza che vale solo se certificato dal mercato, per fare profitti. A che altro serve d’altra parte la ricerca? Possiamo quindi ignorare le banali funzioni della ricerca di base, che non ha applicazioni immediate, e la missione di formare i cittadini di domani. Ignoriamo quindi il fatto che siamo il paese con il minor numero di laureati, che i nostri ricercatori, per quanto pochi, siano costretti a fare le valige, che metà della didattica universitaria è svolta da precari ricattati con la speranza di un altro contrattino, che l’Italia spende una frazione delle risorse investite sulla ricerca rispetto agli altri paesi. Robe noiose, meglio strombazzare le eccellenze e passare oltre in attesa del prossimo comunicato stampa.

MV