(vedi anche QUI; in fondo, un videosaluto di Arianna immersa nella situazione che descrive nel testo)

IL “TETTO” CHE SCOTTA: STUDENTI, ‘PRECARI’, RICERCATORI, SESSISMO, E ANTONELLO VENDITTI.

ROMA, NOVEMBRE 2010, FACOLTÀ DI ARCHITETTURA, “LA SAPIENZA”. 

(DIARIO DI BORDO SU TACCUINO, TRA CRONACA E LIRISMO: UNA NARRAZIONE PER MEMORIA STORICA?…)

di Arianna Sacerdoti, Seconda Università degli Studi di Napoli, Ricercatrice in Lingua e letteratura latina (e poetessa, traduttrice) – membro del Coordinamento Rete 29 Aprile

Stefania, un megafono in mano e tanta luce negli occhi. Un crocicchio di gente attorno a lei. Denuncia i tagli alle Biblioteche, alla cultura. Piazza Fontanella Borghese è fredda, nel pieno di novembre, ma non manca chi si ferma a sentire. Stefania ha un modo accorato di spiegare, di denunciare. Appassiona. Anima forte e fragile allo stesso tempo. Non risparmia nemmeno un granello delle sue forze, non ama i compromessi e le parole di circostanza, è capace di resistere al sonno e alla fame, è la nostra vera pasionaria. Architettura, ricercatrice.

Massimiliano parla con i giornalisti. Riccioli e sciarpa colorata, gesticola vivacemente. È lui che ha avuto l’idea di salire su un tetto. Ora sembra imparare il mestiere della comunicazione con l’esterno, così, d’amblée. Si parla di una trasmissione domani, in diretta. Speriamo che non piova. Massimiliano è alto, sempre presente, capace. Ma soprattutto estremamente simpatico. Geografia, ricercatore.

 Al bar della piazza (quello che regala ogni mattina cappuccino e cornetti a chi occupa il tetto, per solidarietà) sento parlare una giovane al telefono. Hanno bisogno di donne per la trasmissione. È la giornalista che curerà la diretta. Mi offro io, in sostituzione di Roberta che non vuole esporsi. “Stanno decidendo per il mio concorso”, mi spiega, “meglio che non compaia”. Roberta è romana, occhi azzurri, dolcezza. Mi chiede di parlare del sessismo nell’accademia, del fatto che se alla base della piramide ci sono più ricercatrici che ricercatori, solo poche delle giovani studiose faranno carriera: i vertici sono maschili. Questioni di genere e di equità. Roberta è garbata, le dico di sì se ne avrò occasione. Mi presta il testo della Riforma, cui darò un’ulteriore occhiata prima della trasmissione. Giurisprudenza, ricercatrice.

Sono vicina a colleghi di Palermo. Venuti apposta, sacco a pelo in spalla e spirito di condivisione. Stefania ha finito di parlare, stiamo per tornare sul tetto, dal retro della piazza. Arriva Flavia, piatti di pasta in mano. Me ne porge uno. Sguardo penetrante, guance rosse dal freddo. È mia conterranea, partenopea, e lavora a Benevento: anche lei, come me, da Napoli viaggia ogni giorno verso un’Università di provincia, tra quelle attualmente sotto i riflettori – la mannaia della riforma contro gli sprechi è necessaria, dicono. In nome della razionalizzazione, dell’efficienza, dell’efficacia, degli accordi regionali. Accordi di cui non si sa ancora nulla. Chissà se la riforma passerà, se ce la faremo a dire la nostra contro la precarizzazione dei futuri ricercatori, contro il predominio dei Consigli di amministratori dominati da esterni rispetto a Senati accademici svuotati di poteri effettivi, contro i tagli alla ricerca, contro il blocco del turn-over, contro i “prestiti d’onore” agli studenti, contro il fatto che noi ricercatori a tempo indeterminato, vera e propria forza lavoro delle Università, siamo messi su un binario a esaurimento. Morto. Flavia si sta dando molto, anima e core, alla causa: a Benevento ha un gruppo di studenti meravigliosi che protestano con lei, e raggiunge appena può Roma e i colleghi sul tetto. Ecologia, ricercatrice.

Bartolomeo ha il viso teso, avvicina Massimiliano e i giornalisti, è della “vecchia guardia”, è il prorettore della Sapienza. Saliamo su per le scale, non quelle che portano al tetto direttamente, ma altre che conducono verso l’aula magna. Bartolomeo, sapiente e mediatore, è un anello essenziale per l’organizzazione: è grazie a lui che molta della gestione logistica dell’occupazione è stata resa possibile. Accompagna la giornalista de “La7” nella sala che potrebbe essere ottimale per la diretta, in caso di pioggia. I cameraman danno uno sguardo, pare che vada bene. Io li accompagno per curiosità, per entusiasmo, per quella nostalgia del sessantotto che mi è nata dentro quando, bambina, ascoltavo i racconti dei miei genitori sulle lotte e i Beatles, le occupazioni e l’amore, una stagione vicina e drammaticamente lontana da quella che viviamo oggi. Li accompagno perché mi sono scoperta contestatrice, appassionata organizzatrice delle manifestazioni con i “miei” studenti della provincia di Caserta, in una terra affamata di istituzioni culturali ed esempi “diversi”. Lettere, ricercatrice. Sono anch’io parte di un movimento rapido di incontri, decisioni, parole, discussioni, e-mail, documenti, assemblee, astensione dalla didattica, scontro coi Presidi, studio della riforma, foto degli studenti che occupano la Torre di Pisa nei colori, col cuore. Amicizia con colleghi prima sconosciuti, ora amici, sempre più familiari. Sono anch’io “sul tetto”, viaggio da Napoli a Roma come Flavia, appena posso. Eccitata, arrabbiata, felice.

Saliamo sul tetto e abbraccio Francesca. Sembra stanca, gli occhi dolci, non dorme quasi più. È sempre qui, le notti in tenda sulla superficie che abbraccia tutto il cuore di Roma, altitudine immensa e freddo penetrante. Non si risparmia. Parlerà da Fazio, la stessa sera della nostra diretta da Lerner. Finalmente i mass-media ci stanno dando voce, dopo l’assordante silenzio di mesi, dopo manifestazioni prima esili, poi sempre più nutrite, come quella del quattordici ottobre, a stento comparse in alcuni tg e censurate dagli altri.

 Il primo ricordo che ho di Francesca è durante un’assemblea romana, la prima alla quale ho partecipato (timida, inesperta). Rete 29 Aprile era nata da pochi mesi e aveva già fatto passi da gigante. L’aula era piena. Colleghi da tutta Italia. Io e Francesca cercavamo entrambe il bagno. In quell’occasione ho conosciuto anche uno dei nostri leader, Alessandro Ferretti, Torino, ed è stato anche solo per questo un giorno di ‘non ordinaria amministrazione’.

Francesca è bella, di una bellezza luminosa, semplice. Viene da Venezia, ha girato il mondo e continua a girarlo. Ama Testaccio, ama Roma e il Sud. Studia cose per me interessanti. Per la trasmissione di Fazio ha scritto un elenco insieme agli altri, di notte, sul tetto. Un elenco breve che riassumesse tutto: i no alla riforma, la fuga dei cervelli, la precarietà, le difficoltà di chi vuole fare ricerca nel nostro paese e si trova a combattere contro leggi, tagli, baronie, costumi inveterati, sfruttamento, anni di gavetta senza una certezza per il futuro, miopia culturale diffusa, allettanti proposte dall’estero che alla fine fanno propendere molti per un “vado via” invece che un “resto qui”. Ed è questo l’elenco: vado via perché, resto qui perché. 

Noi siamo tra i fortunati – o gli sfortunati? – che siamo rimasti. E proviamo a dire la nostra, anche se non siamo precari, insieme ai precari e agli studenti e a tutti quelli che hanno un cuore e un cervello per guardare oltre le apparenze, il mantra dei sostenitori a spada tratta di Mariastella Gelmini (o chi per lei: dubitiamo che conosca bene dall’interno il sistema universitario tanto da scrivere una riforma. Ma, si sa, ha dotti consiglieri e consulenti, come Abravanel che parlerà in diretta con noi a “L’Infedele” domani). Non ci sono piaciute le bugie mediatiche, gli accordi del Ministro con i Rettori, la scure di Tremonti, gli studenti di destra che difendono la riforma senza forse averla letta – in molti hanno un amore quasi cieco per la propria parte politica, mentre noi con l’opposizione siamo severi, critici, lucidi –. Francesca è tutto questo e altro ancora e domani sera tiferemo per lei. Sociologia, ricercatrice.

Arriva Gianni, lo abbracciamo con gioia. Catanese dal cuore grande, i suoi studenti si preoccupano per lui quando raggiunge Roma per le manifestazioni. Qualche giorno fa siamo stati vittime di una disavventura televisiva e l’ho riconosciuto fratello. Una trasmissione di seconda serata su rete pubblica aveva stabilito di dedicarci uno spazio, cosa che ci aveva reso tutti molto contenti. Poche ore prima della diretta eravamo venuti a sapere di avere solo interlocutori dell’altra parte politica e, soprattutto, che il titolo della trasmissione alludeva alla guerriglia. Guerriglia? Ma ci avete visti? “Ho tanti anni e ancora mi fido come un bambino”, ha sbottato Gianni al bar di piazza Fontanella Borghese, deluso. Ma poi, quasi a ricordarsi della bellezza dell’avventura che stavamo vivendo: “Nel mio contesto universitario mi sentivo così solo. Non sapete quanto sono felice di avervi conosciuti tutti”. Ed è così che ci ri-conosciamo, sul crinale di un’identità valoriale, con l’esserci auto-selezionati sulla base di una tensione comune, che ci rende gruppo anche al di là dell’organizzazione di cui facciamo parte, la Rete 29 aprile. Ed è così che ho scoperto Gianni come fratello: un “buono”, fiducioso nella vita e negli altri esseri umani, un docente appassionato che quest’anno ha rinunciato alla didattica a malincuore, in nome della forma di protesta che ci siamo scelti e che ha bloccato nel primo semestre molti corsi di laurea in tutta Italia. Italia che Gianni attraversa ogni settimana per venire qui, da quando si è deciso di occupare un tetto perché non c’era altro modo per farsi sentire, come marinai che cercano salvezza dal punto più alto della nave che va a picco. Scienze politiche, ricercatore.

Sul “tetto che scotta”, come l’hanno definito con convinta assonanza, c’è Antonello Venditti che chiacchiera con Zoro, attorniati entrambi da molti ricercatori e studenti. Antonello viene sempre qui, ogni giorno. Dice che la sua fidanzata è gelosa del tetto, vera e propria passione per il cantautore, nostalgico – lui che li ha vissuti – di altri tempi di battaglie politiche. Ammirato dai tanti cervelli non in fuga che ha conosciuto qui, dagli studenti, dai precari della ricerca. L’ho incontrato ogni volta che son venuta in questo ombelico magico, le domeniche mattina con una Roma maledettamente bella nel sole, tra la bandiera al vento della Rete e le tende accampate madri di colori. Antonello non ha con sé microfono e chitarra, ma ci promette che ci dedicherà una canzone nel suo prossimo album. Zoro lo intervista con una piccola telecamera e condisce il tempo  comune con la sua tagliente ironia. Al centro di molti discorsi c’è Gabriele, che studia iguane e ci parla di sé. Con lui Antonello ha stretto davvero amicizia.

Sono saliti qui anche politici, ed è stata una fugace manciata di telecamere e visibilità, un “posto al sole” gradito non perché abbiamo dato lustro a una certa parte politica (siamo diffidenti del fatto che qualcuno ci ascolti davvero e voglia portare fino in fondo l’opposizione alla Riforma), ma perché, viceversa, dalla salita sul tetto di Bersani e Vendola abbiamo avuto noi risalto per un giorno, noi che prima eravamo stati inascoltati. Abbiamo fatto, in pochi giorni, capitali esperienze sull’informazione, sulla comunicazione, sul sistema mediatico in Italia. Abbiamo imparato a comunicare con rapidità, a tentare il tutto per tutto pochi giorni prima dell’approvazione (o, speriamo, della bocciatura) della Riforma.

E mi ritrovo ora a pensare se andare via, magari in Canada come alcuni anni fa durante il dottorato di ricerca, o restare qui, nella bella Italia che mi vede ogni giorno combattere con testi e pretesti, filologi e studenti: è il mio lavoro, una continua ricerca delle parole giuste e delle modulazioni per dirle ai ragazzi che ancora affollano le aule dell’Università pubblica, nonostante le tasse siano aumentate e le certezze sul futuro lavorativo sempre più scarse. Si sa, è tempo di crisi. Vado via o resto qui?

Vado via perché la ricerca internazionale accattivante, remunerata, gratificante. Resto qui perché ho conosciuto Stefania, Massimiliano,  Roberta, Flavia, Bartolomeo, Francesca,   Gianni, Gianfranco, Alessandro, Gerardo, Gabriele, Eleonora, Alessandro e tanti altri, perché non siamo precari ma combattiamo contro la precarietà, i tagli al diritto allo studio, per un’Università e un paese migliori. Vado via perché la Riforma Gelmini alla fine è stata approvata. Resto qui perché l’Italia ha ancora bisogno di cervelli pensanti e di una rete di idee e di persone che combattono le loro battaglie dentro le mura degli Atenei e fuori le mura con i lavoratori dello spettacolo, con gli insegnanti di scuola, con gli studenti.

 Vado via perché il mondo è grande e meraviglioso. Resto qui perché il ricordo di Roma dal tetto è, a un anno di distanza, ancora penetrante come l’odore dei limoni di Capri. Brulicare di emozioni, di strade che si intrecciano, di parole, di ricerca e riconoscimenti, di cultura, di musica. 

Vado via perché “…tanto non cambia niente”. Resto qui per i ragazzi, i miei studenti (Rosanna, Maria Laura, Antonio, Federica…) che tanto mi hanno insegnato in questi primi due anni di didattica da Ricercatrice: il sapere e il sentire, l’entusiasmo e la partecipazione, i colleghi e gli allievi – se c’è comunicazione reale – sono spazio ‘di senso’ – sono valori, e i valori contano ancora.

 

Arianna  Sacerdoti

www.rete29aprile.it