Abbiamo ascoltato con indignazione e disgusto la registrazione presentata come conversazione tra il Rettore dell’Università “Tor Vergata”, prof. Giuseppe Novelli, ed un ricercatore di area giuridica dello stesso ateneo pubblicata il 5 Marzo dal Fatto Quotidiano.
Indignano il tono intimidatorio e il linguaggio scurrile usati dal Rettore che vorremmo, in generale, non ascoltare negli ambienti lavorativi, ma soprattutto vorremmo fosse estraneo a chi rappresenta per il suo ruolo tutti i docenti del suo Ateneo (è quello il linguaggio che usa quando si riunisce la CRUI di cui è vicepresidente?). Tuttavia sbaglieremmo se ci limitassimo a confinare al singolo caso l’analisi di quell’audio.
Quell’audio è il sintomo di cosa siano diventati gli Atenei, e forse, più in generale, il Paese tutto, grazie alla “cultura” degli “uomini (quasi mai donne) soli al comando” che sta pervadendo gli spazi istituzionali in questi anni. Rimanendo al mondo accademico, possiamo ripercorrere gli eventi a partire dall’inizio del millennio, quando l’Università Italiana era in crisi, ed era possibile percorrere due diverse strade: da un lato si sarebbero potute scardinare le sacche di potere dei baronati locali aumentando lo spazio di partecipazione democratica della comunità accademica tutta, dall’altro si sarebbe potuto disegnare un modello di governance accentratore e verticistico. Noi, dai tetti degli Atenei, sostenevamo la prima soluzione, pensando che un corpo docente di veri “pari”, incardinati in un unico ruolo avrebbe costituito il vero e più efficace antidoto contro i problemi che, senza ipocrisia, riconoscevamo e denunciavamo. Restammo però inascoltati e l’allora Ministro della Istruzione Gelmini ci consegnò Atenei governati da Rettori padri e padroni di tutto.
A sei anni dalla promulgazione di quella legge, una analisi degli effetti che ha prodotto va fatta. E quell’audio, con la sua brutalità, è un elemento che va inserito in questa analisi. Gli Atenei oggi sono spesso governati da Rettori che pensano di poter disporre a proprio piacimento della carriera di qualunque docente. Negli atenei-azienda i diritti dei “dipendenti” sono calpestati (ahinoi come ovunque in questa nostra Italietta del *ghe pensi mi*) e sacrificati al mantra della pretesa eccellenza, di cui, peraltro, proprio il prof. Novelli è un paladino, avendo ricoperto in passato anche il ruolo di consigliere di quell’ANVUR che ha generato la VQR. Per questo, anziché garantire aspettative e, soprattutto, diritti dei lavoratori (dove sono i fondi per pagare la didattica dei ricercatori nell’Ateneo diretto dal prof. Novelli?) si promuove una interminabile competizione per tutte le (briciole di) risorse che ancora restano; competizione che si risolve in un “tutti contro tutti” in cui gli unici vincitori sono coloro che occupano i vertici dell’organizzazione, come questo audio rende plasticamente evidente.
E se entrassimo anche nel merito di questa triste vicenda ci accorgeremmo che la Legge n. 240/2010 (cosiddetta Gelmini) ci ha lasciato una eredità normativa così confusa che persino le procedure di chiamata dei docenti, regolamentate autonomamente dagli Atenei, sono poco chiare. Scopriremmo, se andassimo ancora più a fondo, che se volessimo chiedere disciplinarmente conto al Rettore Novelli del suo irresponsabile comportamento e del discredito che ha gettato sulla comunità che egli rappresenta non avremmo strumenti normativi per farlo, perché la norma in vigore (art. 10 della L. 240) rende il Rettore immune da giudizio disciplinare.
Per questo non possiamo fare altro che rivolgerci al Ministro Fedeli perché sospenda Novelli, di cui chiediamo le dimissioni a tutela dell’Ateneo che ha avuto l’incarico di dirigere: vogliamo tener fede al dettato Costituzionale che all’art. 54 recita “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”.