Questa volta, non si può dire che non avessero avuto il tempo di prepararsi. Nelle prime due tornate della ASN si sono potuti imputare i numerosi errori tecnici e concettuali dell’ANVUR alla sua giovane età, alla necessità di rodarsi, considerare l’adattamento ai nuovi compiti, le scarse risorse, ecc. Ma ora questa scusa non vale più: l’ultima tornata dell’ASN è stata svolta anni fa e i vari decreti per la definizione della nuova ASN hanno proceduto ad una lentezza tale per cui i 7 uomini d’oro dell’ANVUR avrebbero potuto tranquillamente fare le cose per benino. Ma quando finalmente l’ANVUR doveva dare un contributo concreto al funzionamento del sistema delle abilitazioni, cioè proporre soglie per gli indicatori della ASN 2016, il fallimento è stato completo.
Cosa è successo? Bisogna dare atto che l’ANVUR su un punto è coerente: indipendentemente dal suo mandato, dalle critiche ricevute, e anche dai testi regolamentari che ne delimitano i compiti, persiste a considerarsi l’arbitro di una gara competitiva. Peccato che una prova comparativa non sia compatibile con il concetto di abilitazione, che comporta solo di determinare se un ricercatore ha acquisito i titoli sufficienti per accedere alla valutazione di una commissione. Fare altrimenti vuol dire spalancare le porte ad una valanga di ricorsi amministrativi causati, non dalla tanto vituperata collocazione delle Università nella Pubblica Amministrazione, ma dalla incompetenza di chi dovrebbe fare un lavoro tutto sommato semplice (oltre che lautamente remunerato).
Vediamo cosa è successo, ricostruendo i fatti e le informazioni disponibili. In diverse occasioni, membri dell’ANVUR hanno esplicitamente affermato che l’obiettivo dei criteri e parametri è di limitare la percentuale di candidati che possono ottenere l’abilitazione. Questa affermazione è in ovvio contrasto con la definizione stessa di abilitazione, che deve riguardare le qualità di un candidato in assoluto, non in modo comparativo. Al contrario, stabilire una percentuale di (attuali) candidabili implica che lo stesso curriculum potrebbe risultare abilitante o meno a seconda dei curricula degli altri candidati. Sulla base di queste intenzioni l’ANVUR ha presentato le tabelle con le soglie per candidati commissari e per gli aspiranti al ruolo di professori di prima e seconda fascia. Chiunque abbia letto questi dati e i documenti di accompagnamento ha fatto un balzo sulla sedia.
La decisione di definire le soglie in funzione della percentuale di potenziali candidati da escludere ha portato in alcune aree la produttività richiesta per l’accesso alla fascia dei professori associati, se parametrata al numero di anni considerato, ad essere anche più elevata di quella richiesta per l’accesso alla fascia degli ordinari. In particolare la scelta di prendere come riferimento per le soglie di accesso alla abilitazione da associato i dati misurati sui “nuovi” ricercatori a tempo determinato (RTD), esclude in partenza quasi metà di loro dalla possibilità di entrare in ruolo e non considera la massa “ad esaurimento” dei ricercatori a tempo indeterminato (RTI). I motivi per ignorare i 3/4 delle persone potenzialmente interessate ai concorsi da associato non sono ufficialmente noti. Si dice che gli attuali RTI vengano considerati dall’ANVUR delle zavorre, sulla base della ‘lampante’ evidenza che non sono ancora diventati associati. Non tenendo conto, ovviamente, di alcune minuzie, come per esempio, il pluriennale blocco dei concorsi e l’interruzione del piano straordinario. Invece gli RTD, e in particolare gli RTD-a, sono ricercatori “usa e getta”, sfruttabili a seconda delle necessità del momento, e facilmente reclutabili dalla vasta platea di precari. Insieme RTI e RTD sostengono una parte fondamentale del traballante sistema universitario italiano e meriterebbero (visto che di merito si parla tanto) di vedere riconosciute le loro capacità a prescindere da contingenti predeterminati.
Quella dell’ANVUR è una attitudine ampiamente esorbitante rispetto alle indicazioni normative del proprio ruolo, e non certo nuova. Si è infatti già manifestata molte volte, ad esempio nelle opacissime modalità di scelta dei GEV per la VQR, con conseguente capillare indirizzamento delle pratiche scientifiche di tutte le discipline. L’ANVUR quindi, ancora una volta, viola il suo ruolo di agenzia di valutazione, che dovrebbe fotografare lo stato della ricerca nazionale, per influenzare in modo determinante l’istituzione che dovrebbe solo monitorare, decidendo chi deve accedere alle scarsissime risorse disponibili e che tipo di ricerca va condotta. Tutto questo senza che il MIUR, formalmente il decisore ultimo di tutte le proposte dell’ANVUR, abbia mai avuto alcunché da ridire.
Se il Ministero avesse anche solo l’intenzione di far svolgere all’ANVUR il ruolo che le compete si sarebbe dovuto occupare, prima di ogni altra considerazione, della pubblicazione sistematica dei dati riguardanti la ricerca, cioè l’insieme dei prodotti scientifici di tutti i ricercatori impegnati nelle istituzioni nazionali. La pubblicazione di questi dati, si ricorda, è prevista da una legge addirittura precedente la 240/2010, ed è al fondamento del concetti stessi di valutazione e “merito” sui quali la legge è basata. Solo fornendo la possibilità a chiunque lo desideri di valutare le scelte dell’ANVUR rispetto all’intera distribuzione delle pubblicazioni, l’Agenzia potrà acquisire quella credibilità che errori materiali e scelte arbitrarie non le hanno mai permesso di acquisire. In mancanza di questo, tanto varrebbe che i magnifici 7 dell’ANVUR nominassero direttamente gli associati e gli ordinari di loro gradimento.
Il Coordinamento della Rete 29 Aprile