Intervenuto al Politecnico di Torino, presso il centro Ricerca della General Motors, il Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi ha praticato il solito stucchevole sport nazionale con gaia leggerezza, in un modo simile a quanto faceva il suo mentore e predecessore Berlusconi: applicare i modelli calcistici alla realtà.
Gioco pericoloso perché ti va ancora bene se sei un fuoriclasse, ma se ti capita di essere una palla prendi solo calci.
Cosa ha detto Renzi di così notevole? Ha emulato Lotito, suggerendo che vi siano in Italia delle università di serie A e di serie B, lasciando intendere che quelle di serie B tali debbano restare, e magari essere sciolte. Così come il presidente della Lazio non vuole il Carpi in serie A, il Presidente del Consiglio vuole che le università in serie B ci restino o, ancor meglio, si chiudano: come disse nel 2011 “Il ministro Gelmini avrebbe dovuto avere il coraggio di chiudere la metà delle università italiane”. Con tanti saluti al rapporto ricerca-territorio, alla terza missione, alla formazione come opportunità per i giovani cittadini e per la società tutta. E già oggi nella partita della formazione di terzo livello siamo indietro, non avanti: per numero di abitanti abbiamo assai meno Università e altri istituti dei “competitori” (sette volte meno degli USA, quattro volte meno della Francia, la metà della Germania e via classificando).
Ma il premier si è anche dimenticato di aggiungere qualcosa che avrebbe chiarito meglio la situazione: le università non sono delle entità indistinte e separate dal contesto, ma risentono – soprattutto quelle italiane – dei dilettantismi, delle pressioni, dei tentativi raffazzonati e alchemici di grandi riforme che ci affliggono dal 2005, ministro Letizia Moratti, e poi con la sua emula Maria Stella Gelmini, autentica fuoriclasse del calcio femminile (per non parlare dei titolari con brevi apparizioni, Profumo, Carrozza e l’attuale ministro Giannini).
Aumento delle burocrazia, discredito e riduzione del corpo docente, mancanza di una strategia per il reclutamento e il ricambio generazionale, compressione delle retribuzioni, diminuzione degli studenti, mancate attribuzioni di borse di studio, in un contesto che ci vede non di serie B, ma neppure in promozione, in tanti campi.
Vediamoli.
Secondo i dati dell’ultimo rapporto OECD sull’istruzione, per quanto riguarda la modificazione della spesa pubblica per l’educazione (quindi scuole di ogni ordine e grado) l’Italia è l’unico Paese tra i trenta dell’OECD, insieme a Islanda, Ungheria e Norvegia, ad avere diminuito costantemente la spesa per l’educazione e la ricerca dal 2005 al 2014. Potremmo fare un girone di eliminazione, fidando sul fatto che islandesi e norvegesi non sanno giocare a calcio. Arbitra il signor Marco Mancini, Direttore Generale del Ministero dell’Istruzione (già giocatore, come Presidente della Conferenza dei Rettori).
Altro girone: costo degli stipendi degli insegnanti in rapporto agli studenti. Nella scuola ci si porta la carta igienica da casa, e l’università è pagata per una discreta parte dai denari prelevati dalle buste paga dei lavoratori, mentre ci si basa sempre più sullo sfruttamento di un precariato dilagante. Anche qui, insomma, siamo lontani dall’eccellenza, anzi, insieme a Portogallo e Grecia siamo gli unici tre Paesi, su trenta dell’Occidente industrializzato, ad avere registrato un costante calo, nel 2005, nel 2008 e nel 2014. Non è un bel segnale. Per fortuna che Grecia e Portogallo li abbiamo (quasi) sempre battuti sul campo. Girone all’italiana, arbitra uno dei padri della riforma Gelmini, il prof. Schiesaro.
Poi, in ogni campionato che si rispetti giocano molti giovani, e qui sono dolori, perché con un vergognoso solo 21% della popolazione nella fascia di età 20-29 anni impegnato in aula in formazione di terzo livello, siamo il fanalino di coda dell’ “Occidente”. Possiamo consolarci col fatto che gli olandesi hanno un 31%, i tedeschi un 33%, i greci, fannulloni sempre sui libri, un 42% e addirittura i danesi stanno al 43%. Ma si sa, mica sono dei fantasisti come noi… Per non parlare dei giovani prof. in cattedra, praticamente inesistenti.
Infine, il girone di fuoco: quanto si spende per ricerca e istruzione. Qui siamo davvero in fondo, in compagnia delle formazioni di parrocchie, oratori e amatori vari: rispetto al PIL complessivo l’Italia riesce a spendere solo lo 0,8% per l’università, risultando così tragicamente ultima, insieme al Cile, che però si consola con le grandi riserve di guano. Noi, manco quello.
Ecco, se Renzi vuole giocare al “chi si promuove, chi si retrocede”, giochi con i dati reali, dica fino in fondo l’amara verità, e cioè che il suo governo, come quelli precedenti, si è posto come obiettivo quello di ridurre la ricerca e l’istruzione ad un mero orpello, una funzione al servizio delle aziende, sperando che, chissà perché e come, i finanziamenti arrivino da facoltosi industriali generosi ma non dalla mano pubblica. Intanto, lo informiamo che la Germania ha abolito le tasse universitarie, cosciente del valore dell’istruzione terziaria per lo sviluppo della società nel suo complesso, ed è già campione del mondo in tanti campi.
Noi, come lui stesso dimostra, siamo campioni solo in un campo specifico: chiacchiere a effetto, balle e omissioni, che col pallone fanno un bel pendant, ma non ci portano da nessuna parte. Nomini Lotito ministro dell’istruzione: farà sicuramente bene.
CoNPAss, Rete29aprile