Al di là delle promesse elettorali e degli schieramenti, i diversi governi che si avvicendano alla guida del paese continuano da molti anni politiche volte all’indebolimento del sistema universitario pubblico e alla sua precarizzazione.
Le retoriche del merito sono utilizzate per segmentare e spaccare il mondo accademico, avviando guerre di tutti contro tutti con effetti perniciosi che rischiano, anche per le derive burocratiche e di abbassamento della qualità complessiva del servizio che innescano, di paralizzare il sistema. Tali retoriche si pongono in antitesi rispetto ai modi di funzionamento virtuosi (attivi in molti paesi europei) che dovrebbero essere propri del mondo della ricerca, un mondo in cui collaborazione e confronto devono essere momenti fondanti della promozione del sapere scientifico.
Così, anche a causa dei continui tagli ai finanziamenti, intere generazioni di giovani studiosi rischiano di essere sacrificate e di vedere annullato il proprio futuro, mentre la continuità stessa della trasmissione del sapere è messa in discussione.
Bisogna intervenire immediatamente per bloccare tali derive e impedire questo disastro, culturale, sociale ed economico.
Per questo, come Rete 29 aprile, chiediamo:
– [A] L’istituzione del ruolo unico della docenza universitaria con valutazione paritaria e permanente della qualità della didattica e della ricerca, quale unico strumento capace davvero (aldilà delle menzogne ormai evidenti – si veda il disastro dell’ASN – della legge Gelmini) di mettere alle corde i poteri baronali che bloccano le migliori energie del mondo della conoscenza e, insieme, di rispondere alle necessità del sistema universitario pubblico, invecchiato dal blocco del turnover e da un decennio di pensionamenti;
– [B] La realizzazione della proposta del Consiglio Universitario Nazionale, secondo il quale è necessario superare la duplice figura RTDa/RTDb istituendo una nuova figura di “Professore a tempo determinato, titolare di una posizione di durata quinquennale”, con gli stessi “diritti e prerogative degli attuali professori associati e ordinari”, che alla fine del quinquennio venga confermato a tempo indeterminato una volta acquisita l’abilitazione nazionale (le cui modalità operative, com’è sotto gli occhi di tutti, devono essere rese più efficaci e sottratte alle logiche punitive e/o di potere che hanno caratterizzato alcune Commissioni).
Nella fase di transizione che dovrà condurre a questi obiettivi, riteniamo che occorra impedire che l’Università Pubblica venga trasformata in un luogo popolato da pochi privilegiati e da una massa precaria e ricattabile senza futuro; dunque è necessario che:
– si ritiri l’attuale proposta di variazione (in discussione, in modo evidentemente improprio, nella legge di stabilità) del vincolo quantitativo tra la creazione di nuovi professori ordinari e quella di RTDb, evitando così tentazioni corporative ed egoistiche che potrebbero sedurre il corpo docente strutturato a scapito dell’esistenza stessa del sistema universitario pubblico;
– si unifichino in un’unica tipologia pre-ruolo, (cui vanno riconosciute da subito le irrinunciabili garanzie del lavoro, dalla malattia alla maternità), tutte le forme attualmente esistenti di precariato della formazione e della ricerca nell’Università, che pure contribuiscono in modo determinante al funzionamento degli Atenei;
– si avvii immediatamente un piano straordinario di 10.000 assunzioni, da realizzare in tempi strettissimi in modo che divengano a tempo indeterminato entro il 2020, per colmare il divario nel rapporto docenti/studenti che il nostro paese ha rispetto alla media europea e rilanciare il ruolo centrale della ricerca e della conoscenza, promuovendo una società avanzata sul piano sociale ed economico.
– si indichino immediatamente modalità e tempi certi e indifferibili per realizzare quanto richiesto in [A] e [B];
– si garantiscano anche in campo pubblico, particolarmente nel caso dell’Università e della Ricerca, agevolazioni almeno triennali per alleviare gli oneri collegati alle nuove assunzioni: ricerca di base e alta formazione sono infatti un fondamentale investimento da realizzare a favore del Paese intero.
La scelta politica che oggi si sta per compiere, puntando sull’ampliamento sconsiderato di un precariato universitario senza diritti, serve ancora una volta non a sciogliere un nodo ma a spostarlo nel tempo, così che si ripresenti poi in modo ancora più grave e dirompente. La politica del differimento costante dei problemi non può più essere tollerata; come già nel 2010 avevamo puntualmente prospettato le criticità cui veniva costretto il sistema con la legge Gelmini, così oggi siamo convinti che sia giunto il momento di affrontare e sciogliere, davvero, i nodi che attanagliano l’Università italiana. Il precariato appare oggi il principale di questi nodi (tra gli altri, rilevantissimi, c’è lo svuotamento del diritto allo studio, il verticismo assoluto nella gestione degli atenei, la questione dei congelamenti-tagli salariali, l’assurda rottamazione degli RTI senza che fosse prevista nessuna soluzione concreta, l’uso della valutazione non per il miglioramento del sistema ma come pretesto per la sua eutanasia, e molto altro): chi vuole amplificarlo e sfruttarlo ha lo sguardo corto del breve respiro e del disinteresse o, peggio, mira allo smottamento del sistema pubblico per favorirne uno più elitario e classista. Per questo chiamiamo tutte le colleghe e i colleghi, indistintamente e a prescindere dall’età e dal ruolo, a rivendicare la consapevolezza di questi processi e la proposta di soluzioni, riprendendo finalmente in mano la loro funzione e il destino dell’Università pubblica in Italia.