Riceviamo e volentieri pubblichiamo la seguente lettera, inviata al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dal gruppo studentesco “Associazione studentesca UniCa 2.0 – Per l’Università di tutti (UDU Cagliari)”
Al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Egregio Signor Presidente,
Ci scusiamo per il disturbo: sappiamo quanto Lei sia impegnato, quante personalità delle istituzioni e della società civile abbia da incontrare in questo suo breve soggiorno in Sardegna, quante mani dovrà stringere, quante donne e uomini da consolare per il lavoro perduto o per un parente scomparso.
Immaginiamo quali siano le Sue priorità: sono tanti anni che abbiamo alzato la voce per far sentire il nostro disagio e talvolta pure proporre delle soluzioni, ma raramente siamo riusciti a farci ascoltare.
Per questo Le chiediamo, oggi che è qui di fronte a noi, di leggere pazientemente queste poche righe che abbiamo scritto per Lei in occasione della Sua visita nella nostra terra.
Conosciamo bene l’immagine che la Sardegna, in questi tempi nefasti, ha verso l’esterno: divisa tra gli sfarzi di una Las Vegas mediterranea e la depressione di un Paese del Terzo Mondo tradito e privato delle sue risorse, con un immancabile tocco di benevolo folklore a sfondo agro-pastorale.
Non abbiamo sentito invece le parole con cui L’hanno accolta i nostri rappresentanti al governo della Regione, ma possiamo comunque immaginare, non certo con un complicato impegno in termini di fantasia, la solita benevola retorica che Le avranno sicuramente riservato.
Siamo la prima generazione, dopo la Seconda Guerra Mondiale, che vivrà peggio di quelle che l’hanno preceduta: lo sappiamo, non è una novità, ma dato che spesso la nostra voce rimane inascoltata, Egregio Signor Presidente, approfittiamo dell’opportunità per farLe nuovamente presente questa situazione drammatica.
L’anno scorso è stato celebrato il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Come ricordato dalla nostra Costituzione, il ruolo da Lei esercitato è volto a garantire la coesione della Repubblica, ma quello che i giovani sardi si domandano è se questa si riferisca all’unità geografica, linguistica e statuale del Paese oppure sia estensibile per quanto riguarda la lotta alle disparità sociali e il raggiungimento dell’uguaglianza anche in termini di opportunità e di benessere collettivo.
Essere giovani oggi in Italia è molto difficile, Signor Presidente ma, ci creda: in Sardegna lo è molto di più. I dati emersi dai rapporti del Centro studi relazioni industriali dell’Università di Cagliari sono decisamente drammatici: nell’ultimo trimestre del 2011, nella nostra isola soltanto il 19% dei ragazzi fino ai 30 anni ha un’occupazione. I giovani sono quasi completamente assenti dal mondo del lavoro perché il sistema non riesce ad accoglierli e, come se non bastasse, a questa tendenza marginalizzante corrisponde una scolarizzazione estremamente lenta.
Se il problema riguardasse unicamente la difficile congiuntura economica, forse ci basterebbe soltanto stringere i denti per un po’ e guardare con ottimismo al futuro, consci delle possibilità di ripresa del nostro territorio. La realtà è però diversa, Signor Presidente: sono ormai diversi anni che constatiamo una vera e propria scelta di sistema da parte dei recenti governi nei confronti dei più giovani, specialmente quelli provenienti da contesti più svantaggiati come il nostro, senza offrire alcun tipo di prospettiva concreta.
In particolar modo per quanto riguarda l’istruzione, il messaggio che proviene dallo Stato appare sempre più chiaro: studiare non conviene. I servizi minimi non sono garantiti per tutti, e inoltre gli studenti delle Università sarde lamentano sempre più la difficoltà di trovare uno sbocco lavorativo adeguato al proprio percorso formativo. L’interesse delle istituzioni sul tema appare insufficiente rispetto alla reale portata del problema presente in Sardegna, se non addirittura assente. Quale famiglia potrebbe permettersi oggi il lusso, termine sempre più equivalente a “rischio”, di sostenere tali spese per la formazione e la crescita culturale e intellettuale dei propri figli e, in prospettiva, dell’intera comunità?
La Costituzione sulla quale Lei ha giurato, Signor Presidente, afferma il diritto per gli studenti capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi economici, di raggiungere i più alti gradi di studio, nonché il dovere della Repubblica a rendere effettivo questo diritto. Per quale ragione allora si decurta il fondo statale per il Diritto allo Studio del 95%, facendolo passare dai 246 milioni del 2009 ai 13 milioni del 2011? L’acquisto degli F35 vale davvero di più del futuro di un’intera generazione?
Siamo con le spalle al muro, Signor Presidente: in questo momento né il governo regionale né quello nazionale sembrano volerci mettere nelle condizioni di contribuire allo sviluppo del nostro territorio. Le uniche risposte concrete che ci siam dati finora alle nostre tante domande sono due: l’emigrazione o la recessione.
L’unità di un Paese crediamo che si debba basare soprattutto su valori quali l’uguaglianza in termini di diritti, doveri, riconoscimento sociale e pari opportunità. Speriamo che le nostre parole possano aiutarLa a riconsiderare il valore della coesione nazionale non soltanto secondo logiche di bandiera.
La ringraziamo per la Sua disponibilità
Gli studenti dell’Università di Cagliari
Associazione studentesca UniCa 2.0 – Per l’Università di tutti (UDU Cagliari)
PS: approfittiamo della Sua attenzione per farle presente una questione molto cara a noi come all’intera comunità. Dal 23 ottobre la cooperante di Samugheo Rossella Urru, 29 anni, rappresentante del Comitato Italiano Sviluppo dei Popoli, è nelle mani di un gruppo di rapitori insieme ai colleghi spagnoli Ainhoa Fernández de Rincón e Enric Gonyalons. E’ dal giorno che di loro non abbiamo più nessuna notizia e, nonostante gli sforzi da parte della famiglia e della società civile per sensibilizzare sulla vicenda, i media e il mondo politico sembrano esserne completamente disinteressati.
Rossella si occupava di rifornimenti alimentari per il campo profughi Saharawi di Rabuni, nel sud-est dell’Algeria, un luogo popolato da donne e bambini stremati dalla fame e dalla guerra. La sua storia è quella di una donna che crede nell’altro, nei meno fortunati della propria comunità come del mondo intero, e che si impegna duramente per combattere, in primis, la più grande miseria di tutte: l’indifferenza.
E’ la storia di tanti giovani italiani che scelgono di lavorare per gli altri, in silenzio: non possiamo lasciarli soli.
Le chiediamo gentilmente di attivarsi per la liberazione di Rossella Urru e dei suoi colleghi spagnoli, per far sì che questa bella storia di altruismo, amore e passione non diventi l’ennesima “storia sbagliata” per il nostro Paese.