Il ministro Profumo ha recentemente dichiarato che, per il bene dell’università italiana, è necessario «mischiare il sangue». Il senso era quello di favorire lo scambio di esperienze e la mobilità dei docenti, ma adesso sappiamo di quale sangue parlava il ministro: quello dei ricercatori attualmente in servizio, quello degli assegnisti e dei precari che hanno – senza retorica – veramente dato il sangue per far andare avanti la sgarrupata baracca, e che adesso si vedono scippare il tanto celebrato “piano straordinario di reclutamento dei professori associati”. Di che si tratta?

Nel corso del 2010 era parso evidente che – avendo il governo scartato l’unica riforma sensata della docenza, cioè l’istituzione del ruolo unico – senza procedere a una massiccia iniezione di reclutamenti l’università, impoverita dai numerosi pensionamenti per età, non avrebbe potuto garantire i corsi previsti. Era necessario, si disse, reclutare professori associati per coprire la didattica. Vennero anche accantonati dei soldi, e non pochi: 13 milioni di euro per l’ultimo scorcio del 2011, 78 milioni per il 2012 e 173 milioni di euro per il 2013. Questo nella previsione che nel frattempo partissero:

a) l’abilitazione nazionale a professore associato per i ricercatori in servizio nonché per gli studiosi comunque disponibili sul mercato (una tornata prevista «inderogabilmente» ogni anno: la prima doveva partire già nel corso del 2011 ma, se tutto va bene, se ne parla alla fine del 2012);

b) i concorsi per i ricercatori a tempo determinato di «tipo B» (la cosiddetta tenure track introdotta dalla legge Gelmini: dopo tre anni come ricercatori si può essere chiamati professori associati, a patto ovviamente di conseguire l’abilitazione nazionale).

Questi due canali principali, esile ponte di accesso alla doverosa valutazione del lavoro svolto da tanti ricercatori e ricercatrici (a tempo determinato e indeterminato) negli atenei italiani, sono come due fiumi in secca: nulla è stato fatto, se ne chiacchiera ma si fa finta di nulla. Al momento quindi dove si trovano i possibili professori associati per «mischiare il sangue»?

La risposta il ministro l’ha trovata inviando ieri un decreto a tutti i rettori indicando le rispettive assegnazioni di posti, ateneo per ateneo. Coi soldi che dovrebbero essere utilizzati per chiamare gli abilitati con le nuove regole, si promuoveranno i ricercatori già in possesso di idoneità a professore associato ottenuta secondo le vecchie regole (le ultime idoneità sono state distribuite nel corso del 2008 e, parzialmente, nel corso del 2009, ma non su scala nazionale, bensì a pioggia, sede per sede: poche centinaia di idoneità). Poi, in mancanza di altri da promuovere perché i concorsi non si fanno, si chiameranno professori dall’estero (cosa tanto bella e appagante per i media, visto l’imperante provincialismo che ci affligge e che fa sì che qualsiasi cosa arrivi dall’estero sia, per definizione, buona e giusta); infine si trasferiranno i professori già in servizio, da un ateneo all’altro (vale a dire, si spostano professori da atenei in crisi – che quindi non possono assumere – e li si mandano in quelli sani). Geniale.

Ma attenzione: gli Atenei che sforano il tetto del 90% delle risorse che lo Stato gli passa per pagare gli stipendi (e questi atenei non sono pochi) non potranno usufruire del piano di assunzioni straordinario. Questa non è, come potrebbe suggerire un interprete ingenuo (o malizioso), la banale applicazione del principio del merito, ma il suo plateale capovolgimento: e infatti, le colpe degli incauti amministratori di alcuni atenei, ricadranno su coloro che non hanno avuto alcuna possibilità di controllo sulla variabile contabile. Ai responsabili della cattiva gestione, nessuna sanzione. Agli studiosi colpevoli di svolgere al meglio il proprio lavoro presso atenei male amministrati, tutta la croce. Il demerito “contabile” (non scientifico) della comunità (non dell’individuo) determina la condanna a morte del singolo ricercatore. La sede di appartenenza determina la possibilità di carriera, a parità di titoli e di curricula. Il merito scientifico individuale non conta nulla. Contano solo l’appartenenza, il casato, la comunità di provenienza.

Insomma, la retorica del merito e del «mischiare il sangue», non mischia il sangue, lo succhia: quelle decine di milioni sono state accantonate per la promozione dei ricercatori, di ruolo e precari, non per favorire la mobilità dei professori in servizio in Italia e altrove. Si tratta di uno scippo, compiuto, come nella migliore tradizione, durante le feste. Si sa che a Ferragosto, a Natale e a Capodanno tutto avviene in sordina, ma stavolta il sangue non ce lo mettiamo.

Chiediamo l’avvio rapido delle abilitazioni nazionali, previste con tanta grancassa dall’esecutivo appena dimessosi.

Chiediamo che, per il cenone, il ministro si cerchi altri capponi da bollire.

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