Che succede quando un rettore incontra un industriale? Appartengono a mondi diversi, non sempre accostabili facilmente, ma riescono a parlare e a capirsi se usano espressioni come «priorità per il futuro del Paese», «azioni strategiche», «riportare a sistema le singole esperienze», «valorizzare la qualità», «introduzione di buone pratiche e meccanismi efficienti».
Se poi la parte dell’industriale la fa la Confindustria e quella del rettore la fa la Crui, i due non trovano meglio da fare che un bell’accordo. Con obiettivi – ops, scusate, «traguardi» – ben chiari. Un accordo che conferma una tendenza ben chiara nell’era della Gelmini: il sapere e la ricerca hanno un senso se portano a un profitto qualsiasi, altrimenti rientrano nella sfera dell’inutile e del voluttuario. Esagerato? Mica tanto, basta leggere il testo dell’accordo che Crui e Confindustria hanno stretto l’8 novembre scorso, a Milano presso la sede dell’Assolombarda, per verificare che la direzione presa lascia pochi dubbi.
In pratica, si progetta di applicare anche all’università il sistema di valutazione della qualità e dell’efficienza che si usa in ambito industriale e imprenditoriale. Del resto, non è Silvio Berlusconi I, il grande mistificatore, ad avere insegnato alla generazione degli attuali cinquantenni a usare espressioni come «azienda Italia», «sistema Paese», «sinergie performanti»?
E allora via al controllo di qualità, al bollino blu – anzi, al quality label. Con questo accordo la Crui e Confindustria si alleano per decidere insieme come dovrà essere l’università italiana del futuro. Anzi, non solo cosa dovrà essere, ma anche cosa dovrà fare.
Prima di tutto, privilegiare le lauree tecnico-scientifiche. Eh, certo, siamo stati un Paese di poeti e santi e sognatori per troppo tempo, adesso dobbiamo aprirci al know-how scientifico. Ma una domanda sorge spontanea, perché questo lo deve decidere un’organizzazione privata, come Confindustria, decidendo gli orientamenti didattici di un’organismo prevalentemente pubblico come l’Università?
Ma andiamo avanti: oltre a privilegiare le lauree tecnico-scientifiche, si pensa anche a contratti di formazione per i dottorandi, da introdurre direttamente all’interno delle aziende (eh, già: si risparmia a prendere un professionista già formato pagandolo come uno studente e convincendolo che gli stai facendo un favore), più una spolverata di retorica dell’internazionalizzazione, potabile solo per chi non ha la minima idea di quanto già l’università abbia una dimensione internazionale e aperta, se non al mondo, all’Unione europea.
Ma il punto che risulta veramente indigeribile, è quello dove la Confindustria e la Crui dichiarano di allearsi per individuare insieme i metodi di riconoscimento della qualità dei ricercatori e dei docenti. Lo dicono chiaramente: vogliono aiutare l’ANVUR, appena nata, nel suo lavoro e, bontà loro, si propongono come interlocutori privilegiati. Chiaramente tradiscono un auspicio recondito: che nel lavoro dell’ANVUR ci sia il dettare la politica di reclutamento sottraendola alle comunità scientifiche. Dimenticano che l’ANVUR deve fare e deve limitarsi nelle valutazione ex post – se vuole essere fedele al suo mandato e terza veramente.
Ebbene, questo è veramente troppo. Mentre il Ministero commissaria le università, impone la permanenza in servizio dei rettori anche se pensionati, cerca di dirigere tutto il processo di definizione dei nuovi statuti, ci si mette anche la Confindustria a voler dire la sua sul reclutamento dei docenti, insieme ai rettori (quegli stessi che si lamentano perché i soldi non ci sono). Da notare, infine, che il presidente della Crui, Marco Mancini, ha stretto tale accordo dando informazioni risicatissime ai suoi colleghi rettori, al punto che molti di loro manco sanno della conclusione dell’accordo. Che ne dice, ad esempio, il rettore Frati della Sapienza? E quello di Trieste? e quelli di tanti Atenei tenuti all’oscuro?
Forse si spera che la Confindustria faccia ciò che finora non ha mai fatto seriamente: finanziare la ricerca. Ma se in cambio si deve perdere autonomia e la libertà di decidere cosa studiare e come, grazie tante.
Voi restate in azienda, noi restiamo in aula.
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