La manovra finanziaria 2010 ha disposto il blocco delle progressioni di carriera e degli incrementi stipendiali automatici per il personale universitario. Due misure che, pesantissime, coinvolgono molti altri lavoratori del pubblico impiego.
Pochi però sanno che tra i più colpiti dai blocchi stipendiali della manovra finanziaria 2010 ci sono i ricercatori universitari non confermati. Si tratta di quei ricercatori che, assunti da meno di tre anni, devono trascorrere un periodo di “conferma” (cioè di prova) prima di diventare a pieno titolo ricercatori universitari. Durante questi tre anni di “prova” la loro retribuzione viene ridotta, per poi essere riallineata dopo il primo anno di lavoro e infine dopo la conferma.
Il ricercatore che termina con successo il periodo di conferma non riceve quindi un aumento stipendiale per uno scatto o per un avanzamento di carriera: gli viene restituito solo ciò che per tre anni non ha potuto ricevere perché “in prova”.
Purtroppo, una manovra finanziaria mal scritta ha offerto il destro a molti Atenei – forse impauriti dagli incipienti dissesti finanziari provocati anche dai tagli governativi – di “estendere” arbitrariamente il blocco delle retribuzioni anche a voci che non sono né “progressioni di carriera”, né “scatti di stipendio”. Ecco quindi che gli Atenei tendono a non riconoscere l’aumento fisiologico ai ricercatori neo-assunti, mantenendoli fino al 2014 con la stessa retribuzione del primo anno di lavoro (circa 1200 euro al mese, ridicolmente bassa se rapportata alla retribuzione dei ricercatori, o di figure analoghe, in qualsiasi altro Paese dell’eurozona).
Val la pena di sottolineare che questi benefici economici negati non comportano nessun risparmio di spesa pubblica. Lo Stato, infatti, versa annualmente agli Atenei un Fondo di Funzionamento Ordinario (FFO) che, già all’atto dell’assunzione dei malcapitati ricercatori, doveva, o avrebbe dovuto, prevedere risorse sufficienti per coprire il loro stipendio da “confermati”.
Il risparmio, quindi, è solo per i bilanci degli Atenei che possono temporaneamente impiegare in altro modo queste risorse, magari per tappare buchi di bilancio – cosa alla quale, in tempi di tagli, è difficile resistere. Solo che in questo modo si penalizzano proprio le “forze nuove” e più fresche, quelle che la retorica del giovanilismo esalta quotidianamente.
Sollecitato da alcuni attenti parlamentari dell’opposizione, il Governo in due distinte interrogazioni alla Camera ha chiarito che entrambi gli adeguamenti stipendiali sono dovuti: quelli connessi alle conferme in ruolo devono essere corrisposti immediatamente, mentre quelli per il passaggio dal primo al secondo anno devono attendere l’approvazione di uno dei tanti decreti applicativi della cosiddetta riforma “Gelmini”.
Tuttavia si sa che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire e molti Atenei (ma per fortuna non tutti) non hanno modificato le loro posizioni dichiarandosi «in attesa di un documento ufficiale» (o forse di un apparecchio acustico). Dopo numerosissime sollecitazioni, persino da parte della CRUI, per questa settimana è preannunciato un incontro tra rappresentati del MIUR e del MEF per definire una attesissima “nota illustrativa” sulla questione.
Logica e decenza vorrebbero che – a meno di una colossale brutta figura, che obbligherebbe alle dimissioni i protagonisti ministeriali di questa farsa – i Ministeri non possano far altro che riaffermare per iscritto quanto già dichiarato nelle risposte alle interrogazioni parlamentari.
Si sa, però, che insistendo si può essere molto persuasivi e che la coerenza (politica e amministrativa) è merce rara di questi tempi, perciò i ricercatori universitari restano in trepidante attesa di un esito positivo, almeno in questa vicenda.
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