Il Coordinamento Unico d’Ateneo (composto da professori, ricercatori, precari e studenti) ha ripreso la mobilitazione a Catania , nonostante ci siano ancora pochi colleghi in sede, con una prima iniziativa di protesta il 1° settembre, in occasione del primo giorno dei test d’ingresso all’università per le matricole (a Catania tutti i corsi di laurea sono a numero programmato o chiuso), in cui è stata distribuita una lettera aperta a studenti e famiglie per spiegare i motivi della mobilitazione (qui sotto la lettera); l’iniziativa è stata ampiamente riportata da tutti i media locali. Inoltre, il 3 settembre il Coordinamento ha avuto un incontro con la deputazione catanese del Pd in vista dell’arrivo del DdL alla Camera, in cui sono stati presentati i documenti del Coordinamento e della rete, e le proposte di emendamento (quelle preparate per il senato) di R29A; dopo un ampio dibattito, i deputati Pd presenti (G. Burtone e G. Berretta) si sono dichiarati in sintonia con l’analisi e le proposte del Coordinamento e di R29A (anche sul ruolo unico!) e si sono impegnati a portarle avanti alla Camera. I deputati sono anche stati sollecitati ad essere più “combattivi” alla Camera rispetto al Senato, a far pressione sui mezzi di comunicazione nazionali per una maggiore “copertura mediatica” delle proteste contro tagli e riforma universitaria e a farne una questione centrale nel dibattito nazionale.
Per il Coordinamento Unico
Gianni Piazza
 

LETTERA APERTA AGLI STUDENTI E ALLE LORO FAMIGLIE

 Cara studentessa/caro studente,Gentile genitore,

come probabilmente sapete l’Università italiana vive una fase di tremenda crisi. Il governo, con le ultime leggi finanziarie, ha ridotto del 20% i finanziamenti all’Università. Del 20% !!! C’è da chiedersi: quale altra parte del sistema statale – Trasporti, Sanità, Giustizia – potrebbe reggere un taglio di questo tipo? Basta pensare che la scuola italiana è in una crisi estrema con dei tagli del 10% circa. Questa scelta avrà delle conseguenze di cui tutti voi dovete essere coscienti.

La prima conseguenza è quella di un aumento costante e progressivo delle tasse universitarie; le tasse aumenteranno già dal prossimo anno di circa il 20%. A tale aumento ne seguiranno altri negli anni successivi, di entità eguale e forse maggiore. Tra tre-cinque anni le tasse universitarie di uno studente proveniente da una famiglia di reddito medio saranno aumentate del 100%. Che senso ha aumentare le tasse universitarie, già da quest’anno, con le famiglie in crisi e la sofferenza economica in atto? È questa la soluzione alla crisi del nostro paese? Perché gli altri paesi avanzati (USA, Germania, Francia) stanno invece aumentando o mantenendo invariate le risorse per l’istruzione, l’Università e la ricerca? Con questi tagli l’Italia è il paese europeo che investe di meno nella ricerca e nell’Università: solo lo 0,8% del Prodotto Interno Lordo, cioè della ricchezza del paese. La media europea è l’1,4%.

La seconda conseguenza è quella della riduzione dei servizi agli studenti. Diminuiranno le borse di studio, le mense, le case dello studente, verranno tagliati molti corsi di laurea, ed è già stato istituito il numero chiuso in tutti i corsi di studio. Perché il governo afferma che vuole tutelare il diritto allo studio quando in 60 anni di vita repubblicana non è mai stata fatta una seria politica in tal senso? Non si vergogna? Senza queste forme di assistenza, infatti, solo le famiglie ricche e non troppo numerose potranno affrontare la scelta di una formazione universitaria di qualità dei figli. Questo non è giusto, non è civile, non è dignitoso.

La terza conseguenza è il licenziamento di migliaia di persone che lavorano nell’Università e la riduzione della qualità dell’offerta didattica. Troppo spesso la televisione e i giornali danno un’immagine distorta dell’Università. L’Università dei “baroni”, l’Università del nepotismo, l’Università dei figli dei figli, degli amici degli amici. Nell’Università esistono certo dei casi di gestione poco trasparente, come in altre parti del nostro sistema statale. Ma nell’Università lavorano, con sacrificio e con retribuzioni penose, migliaia e migliaia di giovani. Forse voi studenti non sapete che il 40% circa di quelli che giustamente chiamate “professori” sono precari, “contrattisti”, che verranno fortemente penalizzati dai tagli ai finanziamenti dell’Università pubblica previsti dal governo già a partire da quest’anno. E forse voi genitori ignorate che senza quel 40 % l’offerta didattica rischierebbe, a fronte di un aumento delle tasse, di essere affidata a soggetti estranei all’Università e assolutamente non qualificati che certamente non potrebbero garantire quell’alto livello di formazione che oggi più che mai il mercato del lavoro richiede. L’Università attende una riforma; una riforma che punisca i baroni, i privilegi, le cricche. Lo scorso luglio il Senato della Repubblica ha approvato il DDL 1905 (la cosiddetta “Riforma Gelmini”). Una legge dannosa e inutile che consegna le Università nelle mani di manager di nomina politica, riduce la democrazia negli atenei (dando tutto in mano a pochi baroni), relega i giovani studiosi in un limbo di 11-13 anni di precariato (cosa impensabile in qualsiasi altro paese europeo) prima dell’assunzione come docenti, dipendente comunque dalle risorse finanziarie. In realtà la riforma del ministro Gelmini punirà sopratutto i deboli, quelli che non sono tutelati, facendo pagare il conto solo alla nuova generazione, costituita dagli studenti e dai giovani precari in attesa di assunzione.

 Per tutte queste ragioni il mondo dell’Università ha deciso di protestare. Hanno deciso di protestare, rinunciando agli insegnamenti, i ricercatori, assunti e valutati solo per fare ricerca, con la possibilità di svolgere attività didattica integrativa di supporto ai professori associati ed ordinari, ma che in realtà coprono (volontariamente e gratuitamente) circa il 35% degli insegnamenti dell’Università italiana e svolgono una parte essenziale della ricerca avanzata. Hanno deciso di protestare i professori associati, il cui ruolo viene svilito e disconosciuto, e sempre più professori ordinari si stanno unendo alla protesta nazionale, accettando solo le ore di insegnamento frontale prescritte dalla legge, nella consapevolezza che questa “riforma” costituisce la fine dell’Università italiana. Moltissimi tra i colleghi precari e tra gli studenti condividono e sostengono la nostra protesta e con essi il personale tecnico-amministrativo delle Università. Molti atenei sono già sull’orlo della chiusura. Molte Facoltà chiudono. Decine di corsi di laurea vengono tagliati. Con questa politica l’Italia diventerà presto un paese sottosviluppato.

Vogliamo una Università che aiuti il paese a crescere e a diventare forte; una università che dia benessere e futuro ai nostri giovani. Perché l’università è il cervello di un paese moderno; l’università e la scuola sono l’unico strumento per rispondere alle sfide culturali ed economiche del futuro.

Non siamo ingenui: il futuro, il benessere non ce li regalerà certo la televisione!

Per questo, cari studenti, cari genitori, vi chiediamo di sostenere la nostra protesta. La nostra protesta è a vostra disposizione; la nostra protesta ha un senso se diventerà la protesta degli studenti, delle famiglie, di tutta l’università.

Non lasciamo che nessuno rubi il nostro futuro!

                                                                        

       Coordinamento Unico d’Ateneo catanese – docenti, precari, studenti

contro il DDL Gelmini per una Università pubblica, libera e aperta a tutti

http://unictno1905.wordpress.com/