Consiglio di Facoltà del 22 luglio 2010
Intervento dell’Assemblea dei Ricercatori al punto 7) dell’o.d.g.
“Mozione della Facoltà sul DdL 1905 e sulle manovre finanziarie”
Cari colleghi, chi vi parla lo fa a nome dell’assemblea dei Ricercatori della Facoltà di Ingegneria autoconvocata ieri, giorno 21 luglio 2010, che nella stessa sede ha redatto il presente intervento che mi accingo a leggere.
I Ricercatori accolgono con favore la presenza nell’Ordine del giorno dell’odierna seduta del Consiglio di Facoltà di un punto relativo al DdL n° 1905 ed ai provvedimenti finanziari connessi con il riassetto dei conti pubblici che interessano fortemente l’Università.
Con franchezza, però, rimarcano il ritardo con il quale la nostra Facoltà è stata chiamata a confrontarsi su questi temi. Mentre nel resto d’Italia, con modi e forme diverse, la protesta è montata già da tempo [basta citare ad es. la Facoltà di Ingegneria di Roma La Sapienza, la Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Padova, il Politecnico di Torino, la II Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Bologna, la Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Cassino, la I e la II Facoltà d’Ingegneria Del Politecnico di Bari, la Facoltà d’Ingegneria della Federico II di Napoli, la Facoltà d’Ingegneria della seconda Università di Napoli, la Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Parma, la Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Salerno, la Facoltà d’Ingegneria dell’Università del Sannio, ecc…], questa Facoltà, solo oggi, a tre mesi di distanza, dedica uno spazio congruo alla discussione di questi temi centrali per il futuro del Sistema Universitario Pubblico in Italia.
I Ricercatori vogliono chiarire una volta per tutte che non sono interessati a portare avanti una protesta di stampo corporativo, rivendicando, al più, un simbolico primato di “primogenitura”, che ha avuto come obiettivo solo quello di prendere l’iniziativa e smuovere un sistema poco avvezzo a iniziative decise di mobilitazione.
I Ricercatori hanno a cuore una sola cosa, il sistema universitario pubblico del nostro paese.
Tutti i tentativi di etichettare la protesta dei Ricercatori come una mera rivendicazione corporativistica, hanno il solo obiettivo di marginalizzare e sminuire una giusta protesta che invece merita di essere sostenuta da tutto il corpo docente.
E’, quindi, auspicabile che l’intero Consiglio di Facoltà esprima una posizione decisa, tenendo in debito conto le argomentazioni che i Ricercatori, da più tempo e in diverse sedi, hanno chiaramente espresso.
A questo proposito è opportuno richiamare il documento che l’Assemblea dei Ricercatori di questa Facoltà ha licenziato il 7 Luglio u.s. e che il Consiglio di Presidenza ha inteso riprendere, anche se in maniera piuttosto marginale, nella mozione che abbiamo ricevuto dal Preside lo scorso 13 Luglio.
Nel documento dei Ricercatori si affronta il problema dell‘azione simultanea dei tagli alle risorse degli Atenei, inclusi gli scatti stipendiali della classe docente, e del DdL 1905 che, insieme a ragionevoli misure per migliorare il funzionamento dell’Università, introdurrebbe valutazioni di merito senza la necessaria copertura finanziaria.
I Ricercatori, in particolare, hanno evidenziato come sia inaccettabile, oltre che umiliante e demotivante per la classe dei docenti universitari, operare in una struttura che benefici di un meccanismo di “finanziamento” coatto con i fondi derivanti dai blocchi stipendiali. Questo configura, di fatto, un tentativo di compensazione dei finanziamenti all’Università a spese del personale dipendente (Professori, Ricercatori, Personale Tecnico-Amministrativo) trasformando artificiosamente una voce in uscita del bilancio degli atenei in una voce di entrata.
È stata anche chiaramente manifestata la contrarietà al rallentamento dei processi di rinnovamento della classe docente con il sostanziale blocco del turn-over. L’università ha bisogno adesso di riavviare il fisiologico processo di ricambio dei propri docenti e questo per almeno due ordini di motivi: dare prospettive, quanto mai difficili ma certe, a coloro i quali intendono intraprendere e proseguire la carriera universitaria e prevenire, per quanto è possibile, l’incipiente ondata di pensionamenti attesa per gli anni a venire.
Si tratta, in sostanza, di garantire la continuità di funzionamento dell’istituzione universitaria pubblica e la trasmissione delle conoscenze, a servizio delle generazioni di un futuro non troppo lontano.
Per quanto riguarda, invece, il DdL 1905, i Ricercatori, pur apprezzando i tentativi di miglioramento che in Senato hanno mutato alcuni degli elementi controversi della proposta di Legge, rimarcano la presenza di ulteriori aspetti estremamente critici. Ci si riferisce, ad esempio, al tentativo di praticare riforme a costo zero, specie quando contestualmente, si chiede alla classe docente (unica nel comparto pubblico e dei “non contrattualizzati”) di sottoporsi a periodica valutazione di merito. La maggior parte di noi non ha paura di esporre i risultati del proprio lavoro: ci confortano, in questo senso, i riscontri che riceviamo continuamente dalla comunità scientifica internazionale. Un po’ meno convinti siamo dell’uso che si intende fare dei risultati della valutazione, ovvero, punire i meno operosi, più che premiare i virtuosi. Del resto tutto il meccanismo perde di credibilità se si considera (dati OCSE alla mano) che in Italia si spende solo lo 0,9% del PIL per la ricerca. In questa corsa al peggio, siamo superati solo dalla Slovacchia. Gli USA investono il 2,9%, il Canada il 2,6%, Grecia, Polonia, Messico, Israele, Portogallo, Turchia, Cile ed Estonia sono davanti a noi. Chiunque sia dotato di buonsenso potrà pronosticare il fallimento di qualsiasi svolta meritocratica in assenza di un reale ed organico supporto finanziario.
È anche preoccupante, nel DdL 1905, la svolta verticistica che si intende dare alle strutture interne degli Atenei. Ci riconosciamo in una struttura in cui si individuino differenti responsabilità e ruoli per ognuno. Ci stupiamo, però, che la riforma riconsegni l’autorità e i ruoli decisionali nelle stesse mani di coloro i quali, negli ultimi dieci anni e in regime di autonomia, hanno gestito l’Università fino a rendere non più procrastinabile un radicale intervento di risanamento strutturale. Saremmo curiosi, non per giustizialismo ma per amore della verità, di individuare coloro i quali hanno avuto responsabilità nel determinare l’attuale situazione e non ci stupiremmo di trovarli tra i finti oppositori, se non tra i benpensanti sostenitori, del DdL 1905 così come originariamente pensato dal legislatore.
Fino a qui i fatti, anche se in estrema sintesi, che hanno dato corpo alla protesta, in questa Facoltà come in molti altri Atenei pubblici d’Italia.
Resta da affrontare il nodo più critico: come opporsi a tutto ciò?
Come dato iniziale, i Ricercatori auspicano che le forme di mobilitazione che questo Consiglio di Facoltà intenderà promuovere avranno il sostegno convinto di tutto il corpo docente, senza distinzioni di ruoli.
In tal senso sono apprezzabili le motivazioni contenute nella bozza di mozione inviata dal Preside, d’altro canto, però, non possiamo tacere la delusione nel leggere le proposte di azioni in essa contenute. In questo particolare momento, in cui tutto il mondo universitario produce il massimo sforzo per trasmettere il proprio dissenso, si ritiene quantomeno poco efficace lo strumento del riservarsi (testualmente) “ogni ulteriore eventuale iniziativa per realizzare azioni di protesta, quali variazioni delle date e degli orari degli esami, fare precedere l’inizio di ogni seduta di laurea dalla lettura di un comunicato…” o altre azioni di simile tenore.
Cari colleghi, questo è il momento di mettere in atto azioni di protesta incisive esercitando la massima pressione possibile, proprio in queste ore in cui alla Camera è in discussione il maxiemendamento della manovra finanziaria e al Senato riprende l’iter di revisione del DdL1905.
Metodi e forme di mobilitazione devono essere concordate e quanto più ampiamente condivise, ma si ritiene necessario mantenere alcuni punti fermi che, a nostro avviso, rendono forte e credibile la protesta. In particolare si ritiene indispensabile una formale dichiarazione dello stato di agitazione dei docenti della Facoltà proclamando fin da subito uno “sciopero bianco” che preveda l’astensione da tutte le attività non obbligatorie per legge. Altrettanto importante, e naturale conseguenza dell’atto precedente, è la sospensione dell’iter della programmazione delle attività didattiche per l’A.A. 2010/2011 con il rinvio della delibera di copertura dei corsi, anche per affidamento e per contratto, a data da destinarsi.
Per dare senso ed efficacia alla protesta è, inoltre, necessario sancire pubblicamente il ritardo, ed il concreto rischio di blocco, che lo stato di agitazione determinerà sull’inizio del nuovo A.A., valutando anche la possibilità del rinvio dei test di ammissione già previsti per il giorno 1 settembre.
A supporto di una protesta articolata secondo i canoni appena citati, l’ampia maggioranza dei ricercatori ha già firmato e consegnato in Presidenza, la propria indisponibilità ad assumere incarichi didattici non obbligatori per il prossimo Anno Accademico.
Noi ricercatori siamo una classe di persone che ha sempre dimostrato il proprio senso di responsabilità e certamente non intendiamo derogare a tale prerogativa in questa delicata occasione. Il nostro obiettivo non è quello di praticare politiche distruttive, tuttavia, la gravità della situazione ci spinge ad un richiamo all’unità nella protesta a tutto il corpo docente senza tentennamenti.
Crediamo che oggi sia l’ultima occasione per opporsi in maniera visibile e produttiva, perché i distinguo e le posizioni sfumate adottate nell’ultimo decennio, non solo non hanno prodotto alcun risultato, ma hanno ogni volta gettato le basi, e creato le premesse, per la proposizione di sempre più duri attacchi al sistema universitario pubblico (basta ricordare, ad esempio, gli esiti prodotti dalla Legge 509/99, dalla Legge Moratti 230/05 e dalla Legge 133/08). Seppur dolorosamente, riteniamo che una decisa presa di posizione oggi, con tutte le conseguenze che purtroppo ne possono derivare, non solo sia sacrosanta ma sia necessaria, soprattutto per prevenire ulteriori attacchi che già si delineano nell’orizzonte di un immediato futuro.
Esiste ed è percepibile un ulteriore grave rischio legato al crescente stato di annichilimento, di demotivazione e di disaffezione per i ruoli, per le funzioni e per le istituzioni che è concentrato soprattutto all’interno delle generazioni più giovani. La voglia di battersi e di dare voce alle proprie rivendicazioni rappresenta l’ultimo segnale di una volontà di non cedere a questo stato di decadimento. Se non si riesce a cogliere e valorizzare tale segnale, riducendo al silenzio una già flebile voce, allora significa che ci stiamo accingendo a perdere una partita assai più importante: quella che porterà la nostra università pubblica verso un rapido ed inesorabile declino.
Concludendo invitiamo il consiglio di Facoltà a riflettere profondamente e decidere se sia meglio correre il rischio di ritardare o bloccare un A.A. o, piuttosto, assistere da spettatori silenti alla destrutturazione del sistema universitario pubblico ed alla deriva nichilistica i cui primi segni appaiono ormai evidenti.